Siamo giunti al termine di questi lunghissimi anni che sono sembrati a volte secoli, a volte secondi.

Sembra ieri che varcavamo per la prima volta i cancelli di questo liceo, alcuni con l’entusiasmo di chi sa già dove sta andando, altri con un misto di curiosità e timore per le pagine di greco e latino che ci aspettavano. E ora? Eccoci qui, il traguardo è a un passo, e l’aria è carica di una dolce malinconia, di un’emozione che mescola la gioia per ciò che abbiamo conquistato e la nostalgia per ciò che stiamo per lasciare.

Porteremo per sempre sia momenti belli sia quelli brutti (le interrogazioni di arte) nel nostro cuore.

Dal sottotetto, a cui arrivavi con il fiatone, all’aula con gli animali impagliati nelle teche che ti fissano durante le versioni (tra cui l’iconico capretto a due teste), alle corse per timbrare il badge (anzi, la tessera, per FDB) in tempo, alle conversazioni con Lino, alle irruzioni della Gigliola durante qualsiasi ora di lezione, al wifi che non è mai esistito, ai “Signori” della prof Carbo, agli “Oconi” della prof Tally, ai “Raga” della prof Santi, ai “Guys” della Valens e ai tremila concorsi a cui abbiamo partecipato di nostra spontanea volontà (grazie Lorev), tra il francese e il tedesco, tra le lezioni di vita del prof Bizzi e i test di equilibrio del prof Falzone.

Abbiamo capito che la conoscenza non è un insieme di nozioni da memorizzare, ma un processo continuo, una scoperta che non finisce mai. E forse, la lezione più importante che ci portiamo via è proprio questa: l’importanza di avere delle basi solide, di radici profonde, per poter poi spiccare il volo in qualsiasi direzione, senza timore.

Per il futuro che ci attende, per il quale forse non tutti siamo ancora pronti, per sempre: ansiosi, frustrati, depressi (cit. il Freg)