Un anno dopo
Data: 30 Maggio 2025
Tag: Attualità
Di: Federico Franzese

Poco più di un anno fa, alcuni di noi della Redazione si espressero e scrissero a riguardo di Giulia Cecchettin, sulla violenza sulle donne, e dedicarono articoli alla giornata del 25 novembre. Durante novembre 2023 sembrava che alcune cose si fossero mosse: tante manifestazioni, tanti bei discorsi pronunciati e, soprattutto, l’idea di uno Stato patriarcale sembrava quasi superata; molti uomini e ragazzi, proprio come me, si fecero degli “esami di coscienza”, si interrogarono queste tematiche, sulla propria visione della donna e sulla giustizia.
Eppure, un anno dopo, la situazione sembra completamente invariata, quasi peggiorata: molti uomini continuano a ritenersi responsabili anche dei corpi femminili. Ogni giorno continuiamo a leggere notizie di donne vittime di violenza e speriamo sempre che la vittima non sia stata uccisa, ma “solo” derisa, offesa verbalmente, picchiata. Ciò che mi chiedo, quindi, è: davvero bisogna sperare che una donna (o, in generale, un essere umano) venga “solo” ferita verbalmente o fisicamente?
Leggendo i dati italiani, la risposta sembrerebbe essere di sì. Dall’inizio del 2025 sono già 27 le donne uccise da un assassino uomo, femminicidi sparsi in tutta Italia: nord, centro e sud della penisola.
E, infatti, siamo ancora qua, come se nulla fosse mai cambiato: sempre concentrati su notizie di femminicidi e di continue ingiustizie.
Quando scrivemmo di Giulia Cecchettin, speravamo fosse l’ultima. Speravamo fosse la giustizia ad agire. Eppure, questa giustizia, ancora una volta, è mancata. Settantacinque coltellate colpirono il corpo di Giulia, ma secondo il giudice non fu crudeltà, solo “inesperienza”. Queste sono le motivazioni della Corte d’Assise di Venezia, che ha condannato l’assassino Filippo Turetta all’ergastolo. Ma quindi, cara legge italiana, quante persone deve uccidere un uomo prima di essere considerato violento? Da sempre ci viene insegnato che la violenza è una parola di troppo, uno schiaffo. Non è forse così? Era davvero così inesperto da trafiggere 75 volte un corpo ormai senza vita?
E ancora: Ilaria Sula, 22enne scomparsa il 25 marzo a Roma. Il suo corpo venne ritrovato in una valigia chiusa, gettata in un dirupo dal suo ex fidanzato, che ha confessato.
Sara Campanella, studentessa, anche lei 22enne, uccisa il 31 marzo con delle coltellate da un uomo che la perseguitava da tempo.
Questi sono ALTRI due femminicidi avvenuti in meno di 10 giorni qui in Italia.
Ciò che fa rabbrividire è soprattutto il numero di parole spese nei confronti degli assassini: sempre descritti come ragazzi buoni, studiosi, di “buona famiglia”. Addirittura, come disse Emanuele Compagno, avvocato di Filippo Turetta: “Filippo era buono, voleva bene a Giulia e la aiutava a fare i biscotti.” Ma tutto ciò cosa significa? Tutti questi bravi e onesti ragazzi sono gli stessi che sono stati capaci di commettere questi omicidi. Quindi forse sarebbe il momento di andare oltre le apparenze, oltre la famiglia, oltre gli studi, oltre il modo di vestire. È il caso di pensare che quelli definiti in questi modi sono assassini violenti, e basta.
Spaventano e fanno riflettere anche i trend che stanno nascendo su TikTok, in cui donne ringraziano i propri fidanzati per farle sentire al sicuro, per essere gentili. Ma in una società sana dovrebbe essere la normalità: non ci si dovrebbe sentire in dovere di ringraziare il proprio fidanzato perché non ha ancora commesso atti di violenza.
La gravità di questi temi colpisce sempre di più, ma il cambiamento deve ormai avvenire dal basso: dalla politica, dalle famiglie. Ciò che voi donne, e soprattutto noi uomini, possiamo fare è far sentire la nostra voce, fino a quando qualcosa non cambierà.
Non possiamo più aspettare di perdere un’altra vita. Non possiamo più scrivere altri nomi.
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