Eterna Ricerca

Data: 14 Novembre 2022

Tag: Racconti

Di: Viola

[Immagine: Edward Hopper, I nottambuli]

Un nuovo negozio era nato in una delle trasversali di via Garibaldi. Era apparso improvvisamente tra le vetrine grigie e vuote che popolavano ormai il centro. Lo aveva visto una sera di gennaio, mentre tornava dal lavoro: lo aveva colpito la luce calda che emanava. Come una falena era stato abbagliato da quel chiarore, che si faceva prepotentemente strada tra la nebbia che lo circondava e illuminava di giallo tutta la via. Si era stretto nel cappotto infeltrito, ancora sporco del caffè dell’anno prima e, seppur inizialmente diffidente, aveva seguito quella luce. Era passato davanti all’ultimo bar dove le brioches costavano ancora 1,20 euro e di cui era un affezionato cliente. Aveva superato la folla del venerdì sera che si dirigeva, con spintoni in giacche di Twin Set e calci in tacchi di Hermes, verso il centro per un aperitivo con le amiche. La via era deserta, davanti al negozio non c’era nessuno, la porta però era socchiusa e dalla maniglia pendeva un cartello: “Entrata libera”. L’ingresso era piccolo, stipato tra un calzolaio, che come si intuiva dalla vetrina, non riparava scarpe da un bel po’ e un ristorante Hawaiano. Aveva pensato che, probabilmente, c’erano più pokerie in Italia che alle Hawaii. Un bidone a lato della strada straripava di cartacce e lui aveva cercato con lo sguardo se una di esse riportasse il nome o il logo di quell’ emporio. Non voleva entrare senza sapere cosa trovare. I vetri erano opachi per la condensa e non lasciavano intravedere nulla. L’insegna recitava anonima: “Eterna ricerca”. “Un altro pretenzioso negozio d’antiquariato, non potevo aspettarmi niente di diverso da questa città”, aveva ipotizzato con i pregiudizi fondati di un emiliano acquisito. Spinto dal freddo invernale e dal desiderio di confermare le proprie supposizioni, era entrato. La maniglia non era fredda, ma tiepida, come se l’intero edificio non facesse parte di quella strada nuvolosa, ma fosse un’entità a sé stante, un animale caldo dove rifugiarsi dall’umidità che congela le ossa. Un verso metallico aveva confermato con dissenso il suo ingresso. Come aveva intuito dall’esterno, l’ingresso era piccolo e stretto, formato da tre stanze quadrate collegate da sottili corridoi. A destra dell’entrata, appollaiato su un alto comodino, si trovava il registratore di cassa, che, come un rapace, scrutava dall’alto il suo regno. Era un vecchio modello, forse vintage e con i tasti così scoloriti che non si leggevano più i numeri. “Il proprietario andrà a memoria”. Gli sembrava di essere entrato nella sala o, piuttosto, nella cantina di un anziano troppo pigro o nostalgico per disfarsi di tutta quella roba, ma deciso a conservarla a costo di farsi seppellire da essa. Ogni superficie era impolverata e, se qualcuno avesse provato a spostare qualcosa, si sarebbe scatenata una tormenta di pulviscolo, quasi come quelle tempeste di sabbia nel Sahara. In quelle stanze si era creato un ecosistema isolato, formato da polvere e ragni, interessante oggetto di studi per uno studente di biologia. Com’era possibile che un negozio che aveva appena aperto, fosse già così sporco e decadente? Sembrava fosse lì dalla notte dei tempi, da prima che la città fosse costruita, un insignificante edificio in una distesa di alberi. L’odore di incenso, che appesantiva ancora di più l’aria, si era diradato e, come una schiera di servitori, aveva lasciato passare quello che aveva ipotizzato essere il proprietario. Da quella porticina laterale non era uscito un vecchio gobbo che a stento si reggeva in piedi, ma un uomo, anzi un ragazzo, alto e bello. Era però una bellezza disarmonica che lo affascinava e lo spaventava. Aveva un viso liscio, senza rughe, ma gli occhi di qualcuno che conosceva ormai la vita. Si era sentito come Ulisse nell’Ade al cospetto di Achille, il più valoroso tra gli eroi achei, esiliato tra quelle grotte buie:un re nel regno dei morti. Gli sembrava un anziano che in punto di morte aveva strappato il corpo di un ragazzo e lo aveva indossato sul proprio. “Possedere un negozio come questo ha i suoi vantaggi”. Quella voce chiara e limpida aveva invaso le stanze vuote e, strisciando sotto i suoi vestiti, lo aveva fatto rabbrividire. Era rimasto silenzioso, sorpreso dal quel suono amplificato dall’eco delle pareti. “Benvenuto signore, sa già come funziona?”.

Aveva scosso la testa, impietrito davanti a quella figura alta e sottile che si avvicinava sempre più a lui. “Deve sapere che questo non è un normale negozio, qua non si comprano cianfrusaglie o soprammobili, ma vite, che per alcuni alla fine sono la stessa cosa.” Con il tallone aveva sfiorato il battiscopa. “Puoi acquistare ogni oggetto che trovi in negozio, ma in cambio dovrai lasciarne uno tuo. Comprando un articolo, compri anche una vita, puoi scegliere quella di un padre di famiglia, o di un imprenditore. Ti potrebbe piacere questa pala arrugginita? La vita di un contadino greco durante la Prima Guerra Mondiale, non è male.” Ormai appoggiato con tutto il corpo all’intonaco non aveva via di fuga. Il ragazzo lo osservava con un viso gentile, ma i suoi occhi lo stavano sfidando. Sei disposto a mettere tutto in discussione? Ormai erano separati solo da qualche centimetro. I loro nasi si stavano per toccare, quando aveva sentito una mano salire, percorrere tutto il braccio e posarsi sulla sua spalla, dandogli una piccola spinta verso il muro. “Ti lascio dare un’occhiata.” Quel respiro alla liquirizia aveva lasciato posto all’odore di oggetti vecchi e al caldo appiccicoso di quella sala. La porta d’ingresso era ancora socchiusa, ma sporgendosi verso i vetri non riusciva a scorgere i contorni del palazzo di fronte e nemmeno la strada: tutto era circondato da uno spesso strato di nebbia e smog. Non sentiva le macchine passare o le chiacchiere dei pedoni, ma solo il borbottio sommesso di una vecchia radio: “Where am I to go, now that I’ve gone too far?”. Con passo incerto attraversava gli scaffali ricoperti di cianfrusaglie. I suoi occhi si erano posati su un piccolo cilindro di plastica nera lucida, svitando il tappo aveva scoperto un rossetto porpora. Era ancora intatto, nuovo, come se stesse per arrivare una ragazza distratta a rivendicare il suo ultimo acquisto al negozio di trucchi di fronte. Era uno di quei rossetti che si acquistano per le occasioni importanti e si conservano per tutta la vita. “Quello era di una ragazzina venuta qui qualche anno fa, lo aveva acquistato per un compleanno che avrebbe avuto quella sera stessa. Ha deciso di scambiare la sua giovinezza con l’amore, ora, se non ricordo male, dovrebbe essere la moglie di un qualche cantante.” “Non lo facciamo tutti alla fine?”. “Che cosa?” “Scambiare la nostra la vita con l’amore”. “Caro, pensi troppo male degli uomini, ci sono cose molto più nobili dell’amore per le quali sprecare la propria vita”. Nonostante fosse entrato nella seconda stanza, lontano dallo sguardo grigio del ragazzo, sentiva la pressione di mille occhi che, dalle mensole delle librerie, lo fissavano. Non ci aveva fatto caso, ma molti di quegli oggetti erano anche libri, riviste, giornali le cui pagine ingiallivano, mentre i visi delle modelle in copertina, accartocciati, si ricoprivano di rughe. “Hai detto che posso scegliere chiunque io voglia essere?”. “Hai la possibilità di scegliere chi diventare anche senza entrare in questo negozio. Qui però con un solo gesto potrai cambiare per sempre la tua vita, senza bisogno di sacrifici di anni o di compromessi. Senza che una sorte nefasta faccia cadere il tuo castello di carte. Un piccolo prezzo per un grande futuro. Dai dimmi cosa vuoi, forse nel retro riesco a trovarti una cravatta da industriale.” “Io non ne sono sicuro, non lo so.” Sentiva la stanza rimpicciolirsi, le pareti polverose, impregnate dell’odore di vecchio, avvicinarsi e il soffitto abbassarsi. Con la spalla toccava il lampadario che, scosso dal movimento improvviso, ondeggiava pericolosamente, illuminando con fasci di luce gli angoli della stanza. Quegli oggetti ammassati e abbandonati uno sopra l’altro erano diventati pile di cadaveri di vite dimenticate. Ancora giovani giacevano silenziosi e immobili coperti da inerzia e indifferenza. “Tutti quelli che entrano qui vogliono qualcosa e tu non sei diverso dagli altri. Forse sei troppo sciocco per capire quello che vuoi, o non hai intenzione di ammettere a te stesso che non lo potrai mai avere senza un piccolo aiuto. Non esitare a rivelarmi i tuoi desideri. Hai forse paura che ricevere questo vantaggio non sia giusto nei confronti degli altri? Credi che quel tuo amico si sia fatto degli scrupoli,mentre riceveva lo studio di suo padre avvocato? Dovresti smetterla di essere così cattivo nel giudicare gli altri.

Non c’è nessuno così insulso da rifiutare un colpo di fortuna. Il tuo amico ha lasciato qui uno dei suoi pennelli e ha acquistato uno dei tocchi che vedi su quello scaffale. Ultimamente vanno molto di moda, ne sto vendendo un sacco.” “No, no, queste cose non fanno per me, mi dispiace, ma devo proprio andare.” Con passo veloce, ma esitante, aveva attraversato l’ingresso e quando, prima di uscire al freddo invernale, si era voltato, aveva intravisto un sorriso malizioso sul viso del vecchio. Quasi correndo era sceso in strada e, sbucando fuori dal vicolo, si era trovato sulla via principale. Mentre riprendeva fiato e pensava a ciò che aveva ascoltato tra quelle stanze grottesche, guardava i passanti. Completi eleganti e vestiti lunghi sfilavano davanti a lui. Qualcuno stava cenando all’ultimo piano di un palazzo settecentesco e la luce di un lampadario antico in vetro illuminava la grande sala. Quanto era stato stupido! Senza più indugiare era rientrato nella via: non poteva perdere un’occasione del genere. Tra le cianfrusaglie aveva intravisto un calamaio, ma aveva avuto troppa paura per toccarlo, prenderlo e forse comprarlo. Senza quel negozio non sarebbe mai diventato uno scrittore, senza l’aiuto di quell’uomo nessuno avrebbe mai letto i suoi libri. Nella fretta aveva però sbagliato strada perché l’emporio non era più dove l’aveva lasciato. Era entrato nella via prima, poi in quella dopo, le aveva attraversate tutte, anche quelle dall’altra parte della strada, ma l’edificio era scomparso. Niente separava più il calzolaio e il ristorante hawaiano, quel magro palazzo non c’era più. Aveva chiesto informazioni, ma tutti quei borghesotti lo avevano guardato storto come se non sapessero di cosa stesse parlando. Sempre più disperato aveva attraversato tutta la città, guardando in ogni vicolo, chiedendo a ogni uomo che incontrava, ogni volta con meno voce e lucidità. Il sole era già tramontato da qualche ora quando, sfinito e frustrato, si era seduto su una panchina. Vicino a lui una coppia di amici stava bevendo un ultimo caffè prima di lasciare il tavolo. “Capisco che quel lavoro ti garantisse un buono stipendio, ma non dimenticare che eri riuscito ad ottenerlo solo perché uscivi con la figlia del capo. Non dimenticare che alla fine solo le cose ottenute con poca fortuna sono quelle che resistono al caso”.

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14/11/2022|Categorie: Eureka|Tag: |