Quando studiare diventa un privilegio

Data: 10 Novembre 2023

Di: Anita Riccardi

Qualche tempo fa, quando ancora viale Maria Luigia si scaldava silenziosa al sole di settembre e nei parchi c’era un via-vai consistente, ero andata entusiasta a sentire “L’insopportabile maschio di sinistra” – per riprendere un articolo di Libero (da leggere per fare due risate!). Mi riferisco a quel pericolosissimo soggetto che tra “andiamo a pija un gelato” e riflessioni sui massimi sistemi della vita (come la scelta della pizza…non scherziamo) osa parlare di questioni politiche, e tra una battuta e l’altra, rigorosamente in romanesco, si permette addirittura di prendere delle posizioni! Per chi non l’avesse ancora capito (e mi delude!), sto parlando proprio di Zerocalcare, che, non solo per la sua geniale comicità, ha tutta la mia stima e ammirazione. Ma tornando a noi, quel pomeriggio in cui mi trovavo tra la folla ad ascoltare attenta, ero rimasta colpita da una sua riflessione in particolare, sulla questione degli spazi. Tra i manifesti e gli striscioni si parlava dei cambiamenti dell’attivismo nel giro di pochi anni: con l’avvento di internet oggi sembra essere venuta meno la necessità di uno spazio fisico, ed è sempre meno praticata l’occupazione come rivendicazione di un proprio spazio. Insomma, lui l’aveva raccontato in modo molto più divertente e accattivante, ma la questione a grandi linee era questa. E a proposito del riprendersi fisicamente i luoghi con una presenza attiva, ci rivedo il movimento studentesco che ad aprile ha iniziato a protestare contro il caro-affitti nelle città italiane e, portando borracce, gavette e tanto impegno, ha deciso di montare le tende davanti alle università, un atto di chiara rottura che non passa inosservato. 

Ma perché gli universitari protestano? 

I fuorisede sono aumentati negli ultimi anni, ma al crescere di questi non sono aumentati in modo proporzionale i posti nelle residenze universitarie. Secondo i dati presentati da “Internazionale” i posti messi a disposizione dagli enti regionali per il Diritto allo Studio erano, nel 2022, poco meno di 40.000 e gli universitari iscritti in una provincia diversa da quella di residenza sono circa 700.000.  Non bisogna essere dei geni della matematica per capire che qualcosa non va.

Di fatto riesce ad entrare in uno studentato solo il 3% della popolazione universitaria totale che fa domanda (come si legge in un articolo del “Corriere” di Daniela Polizzi e Simona Ravizzi). Anche tra chi ha diritto ad un posto letto per motivi di reddito, solo pochissimi riescono ad ottenerlo, gli altri sono obbligati a bruciare la borsa di studio in affitto.

Molti studenti sono dunque costretti a pagare affitti privati.

Ad aggravare la situazione è l’aumento dei prezzi degli affitti, che dal 2021 è cresciuto dell’11%: a Milano una stanza costa in media oltre 600 euro al mese, a Bologna 467, a Roma circa 450. 

Secondo i dati di “Scomodo”, il giornale con la redazione under 25 più grande d’Italia, che in una sezione di approfondimento sulle disuguaglianze nelle università in Italia ha analizzato i dati riguardanti i fuori-sede, si stima che nelle città del Nord ci siamo molti più fuori-sede rispetto a quelle del Sud: a Lodi ad esempio il 46% è composto da fuori sede, ad Oristano invece l’ 80% degli studenti, spinto a lasciare la città d’origine per accedere a una formazione migliore, frequenta l’università in un’altra provincia. A  questo proposito ho intervistato Simone Martuscelli, giornalista e studente in magistrale di Storia a Roma Tre, che mi ha chiarito la situazione:

“Se parliamo di università c’è un problema che sussiste da tempo. Il ‘68 è il momento in cui l’università diventa di massa: ma quando questo succede in qualche modo le élite tendono ad avvantaggiarsi, dunque a pochi anni dal boom delle università arriva in Italia il modello dell’università privata. Questo porta all’inflazione del titolo di studio: valgono quindi di più alcuni titoli di studio rispetto ad altri. Il problema non è la qualità didattica delle università del Sud, ma il fatto che le opportunità lavorative siano sempre fuori (che ha come conseguenza  la tendenza  ad andare via già prima all’università), e che l’impatto sul curriculum di un’università piuttosto che un’altra sia diverso nel momento in cui la concorrenza diventa così profonda. Non è un caso che siano Roma e Milano le città più attrattive per l’università.” 

E il piano politico? 

Nel 2021 il Pnrr ha previsto 960 milioni per la realizzazione di determinati obiettivi. Una parte era destinata alle residenze universitarie, con l’intento di aggiungere 60.000 nuovi posti letto entro il 2026, obiettivo assai ambizioso che non verrà portato a termine entro la data fissata (ma ormai a questo siamo abituati, in fondo parliamo sempre della politica italiana).

 C’è poi un’altra parte destinata alle borse di studio: il piano previsto era quello di aumentare i soldi da dare agli studenti con borsa di studio e rendere accessibile quest’ultima a più universitari. Lucia Ori, studentessa di giurisprudenza a Trento e responsabile delle borse di studio in Trentino in quanto rappresentante degli studenti della sua facoltà, mi ha raccontato delle problematiche che hanno riscontrato. Innanzitutto i fondi, che con una proroga sarebbero dovuti arrivare a febbraio, sono arrivati in Trentino la prima settimana di maggio, lasciando molti studenti beneficiari di borsa di studio, che avevano quantificato a budget una certa quantità di soldi, con la metà dei soldi previsti (non sapendo quando sarebbe arrivata l’altra). Considerando  poi che il Trentino è un’eccellenza, siccome è un’università che in questo momento ha tutti gli studenti borsisti idonei e beneficiari (cosa non scontata nelle altre regioni italiane), non siamo messi benissimo.

Le proteste sono arrivate anche a Parma: a maggio 2023 un gruppo di studenti e studentesse, accodandosi ai manifestanti di Milano e Roma, ha deciso di dormire in tenda di fronte alla Facoltà di Economia in via Kennedy. 

“A Parma gli studenti fuori sede sono 17.000, e le residenze universitarie hanno 600 posti letto. Una stanza in affitto privato costa in media 350 euro al mese con utenza esclusa. Una ragazza ci ha raccontato che ha pagato 200 euro di utenza, quasi come pagare due affitti. Chi non trova un appartamento a Parma deve cercarne uno fuori, pagando anche i trasporti extraurbani, che sono aumentati di prezzo: il carovita, che ha tra le cause la guerra imperialista che stiamo vivendo, si vede non solo nel caro affitti, ma anche nel caro trasporti” spiegano Vittoria Arfini, Mattia Boselli e Lorenzo Tanchis. 

In Emilia Romagna, secondo i dati riportati da “Scomodo”, dal 2014 al 2021 gli studenti fuorisede sono aumentati del 46%, le residenze universitarie solo dell’1%. 

I tre mi hanno spiegato che l’Università di Parma sta iniziando a costruire e comprare degli edifici per riqualificarli a studentati, soluzione però non sufficiente dal momento che saranno due studentati con tempo di costruzione minimo di due anni e offriranno cento posti letto, quando la richiesta attuale è di settecento. 

I ragazzi aggiungono poi: “Questa delle tende è una protesta, alcune situazioni di questo tipo però esistono davvero e le persone non lo sanno. A inizio anno avevamo fatto un’indagine sugli alloggi universitari a Parma e abbiamo scoperto che ci sono dei ragazzi che hanno dormito per una settimana in strada perché gli alloggi non c’erano o non potevano permetterseli.”

Ci sono poi molti studenti e studentesse di Parma che frequentano l’università in altre città, facendo da pendolari o affittando una casa nella città in cui studiano.

Anche loro riscontrano delle difficoltà: Riccardo Beatrizzotti, studente dello IED a Milano che ha trovato una casa in città dice: “Io vorrei cambiare la mia casa perché sono un po’ scomodo. Adesso ad esempio un trilocale di 60 m quadri lo trovi a 1500 euro in due. Il problema è che spesso si trovano alcune case a prezzo relativamente più basso, ad esempio 1000 euro in due a Milano, che è già un buon pezzo per questa città, ma con spese condominiali, che arrivano fino a 400 euro, e utenza escluse.

Tommaso Rocca, studente di Economia a Bologna invece racconta: “Avendo lezione alle 8.00 per arrivare in tempo  all’università devo prendere il treno delle 6.15 del mattino. Il problema è che a quell’ora non ci sono gli autobus, c’è solo una corriera, ma dovrei fare l’abbonamento della corriera che costa di più e dovrei prenderla alle 5.30 arrivando in stazione, luogo non molto sicuro, mezz’ora prima. I miei genitori quindi d’inverno si svegliano prima e mi portano. È un sacrificio, quando però uno capisce cosa significa cercare casa a Bologna decide di fare la vita da pendolare”, e aggiunge: “È difficile vivere la vita universitaria da pendolare: è come se fossi sempre un turista a Bologna. Ogni volta che rimango devo organizzarmi, guardare i treni, che a volte la sera non ci sono (l’ultimo treno è a 00.30). Mi piacerebbe ad esempio uscire la sera con i miei amici: essendo pendolare è anche difficile fare amicizia se non con i compagni di corso”.

Seguendo questa linea Simone Martuscelli sottolinea come l’istruzione in questo momento sia la più grande leva per la mobilità sociale, praticamente ferma nel nostro paese.

L’accesso all’istruzione serve per mettere in moto la mobilità sociale, questo comporta la messa in discussione 

dello status quo. Finanziare l’istruzione però è un vantaggio per tutti nella società, perché permette di investire sui giovani in modo che si sviluppino nuove competenze, come ad esempio quelle sul digitale e sul green. Di conseguenza questo “conflitto” verticale tra i più ricchi e i più poveri si può trasformare orizzontalmente.

Da una parte la classe dirigente, a livello di élite sociale, pone resistenza sostanzialmente per mantenere i privilegi, dall’altra c’è la credenza degli italiani di essere più ricchi di quanto non si è davvero: la narrazione culturale che non prevede di mettere in discussione il sistema ma il singolo, secondo la logica dello sforzo che appaga, è diventata preponderante anche nelle classi più basse: non è una convinzione suggerita dall’alto, ma radicata e considerata reale. 

“Nel caso degli studenti, la logica è quella del “se vuoi studiare qui, allora lavori e ti guadagni da vivere”.

Questo però non permette di vivere l’esperienza universitaria a tutto tondo: lavorare e studiare significa studiare con evidente più fatica, voti peggiori ma anche minore capacità di investire il proprio tempo in relazioni umane che poi possono essere utili nel mondo del lavoro. Giuliano Poletti, ex Ministro del lavoro e delle politiche sociali, nel 2017 fece molto scandalo per una frase detta: “nel lavoro si creano più opportunità giocando a calcetto che a spedire curricula”. Se ci pensiamo non è neanche una cosa così distante dalla realtà: è vero che ci sono delle relazioni umane che poi diventano professionali e ti permettono in un certo senso di trovare lavoro; se ciò viene impedito è per difendere la propria posizione sociale. 

L’istruzione quindi può interessare il maggior numero di persone possibili, se la

 intendiamo come chiave per la mobilità sociale e per il miglioramento della società”, dice il giornalista. 

La grande sfida che tocca alla nostra generazione oltre a quella ambientale è dunque, a mio parere, quella di un’istruzione accessibile a tutti, spogliata di quei privilegi di cui ancora oggi è intrisa. L’accesso all’istruzione deve essere di fatto uguale per tutti. Solo in questi termini si può prevedere un progresso sociale e democratico: dall’istruzione parte ogni cosa, si sradica la gran parte dei problemi. Una società istruita è una società fruttuosa, colorata.  

E in questo bel quadro di studi però non dimentichiamoci di dedicare del tempo anche alla partita di calcetto ;). 

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